C’era una volta l’Inquisizione. Poi i tempi sono cambiati - ah, Porta Pia! - ed ha dovuto ridimensionarsi: è diventata prima il Sant’Uffizio, poi la Congregazione per la dottrina della fede; oggi è, più modestamente, il Dicastero per la dottrina della fede. E non manda più la gente sul rogo, l’Inquisizione diventata Dicastero, ma scrive documenti edificanti come la nota dottrinale Una caro, che spiega a tutti, cattolici e non, che cosa bella è la monogamia.
Il documento, si precisa subito, non intende soffermarsi sulla indissolubilità del matrimonio: quella è una cosa sulla quale esiste una abbondante bibliografia e ha ampio spazio nel Magistero. Per i mass-media, è il documento che afferma che il sesso non serve solo a fare figli, ma ha anche una funzione unitiva per la coppia. Nulla di nuovo, a dire il vero: c’è già tutto nel Catechismo (“La sessualità è sorgente di gioia e di piacere”: 2362), che riprende a sua volta il Concilio Vaticano II. Questa sorgente di piacere e di gioia dovrà naturalmente sgorgare solo all’interno della coppia sposata ed eterosessuale: qualsiasi altra esperienza sessuale (prima del matrimonio, tra persone che convivono ma non sono sposate, tra persone dello stesso sesso) resta peccato e disordine morale.
Nel Catechismo si legge anche che la sessualità “non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale” (2361), ed è una affermazione che difficilmente si può contestare: siamo esseri culturali e non c’è aspetto fisico, istintivo, biologico che dalla cultura non sia investito. In questa Una caro, tuttavia, la biologia è invocata, attraverso Tommaso d’Aquino, per mostrare il carattere razionale in sé, e non solo per i cattolici, della monogamia. Perché qualsiasi uomo, assicura l’Aquinate, “desidera per natura di essere certo della sua prole, la quale certezza sarebbe del tutto eliminata, se più uomini avessero una sola donna”1. E si potrebbe rispondere che poco conta qualunque cosa il maschio desideri per natura - ed è improbabile, a dire il vero, che per natura desideri realmente la certezza della prole; conta, magari, quando si tratta di trasmettere la proprietà -, essendo noi, appunto, persone, ossia esseri che trascendono la natura.
Una seconda mossa, per sostenere il carattere universale delle proprie idee, è quella di mostrare che esse si trovano anche in altre tradizioni culturali. E dunque dopo aver fatto grandi sforzi per mettere tra parentesi la poligamia della Bibbia, gli estensori di questa nota si soffermano, “a modo di esempio”, sull’India. E citano, tra l’altro, questo passo delle Leggi di Manu:
Che la fedeltà reciproca continui fino alla morte, questo può essere considerato come il riassunto della legge suprema per marito e moglie. Che l’uomo e la donna, uniti nel matrimonio, si sforzano costantemente, che (essi non siano) disuniti (e) non violino la loro reciproca fedeltà.
Come spesso succede, le culture diverse dalla nostra ci offrono uno specchio che ci consente di guardare meglio noi stessi. Vediamo un po’ cosa c’è nelle Leggi di Manu riguardo al rapporto tra marito e moglie, al di là di quel passo. C’è, intanto, qualcosa che a un lettore della Bibbia suonerà familiare: la donna che ha le mestruazioni è impura. E lo è al punto tale, che se un uomo ha rapporti o anche solo dorme con lei, “perde la propria saggezza, energia brillante, forza, vista e longevità”2. Non va poi tanto male, se consideriamo che nella Bibbia in casi simili è prevista l’estirpazione (Levitico, 20.18) ; ma quando una donna è considerata impura per le mestuazioni non è un buon segno. E infatti le Leggi di Manu spiegano che una donna, che sia giovane o anziana, “non deve far nulla in modo indipendente, neppure a casa”; quando è bambina dev’essere sotto il controllo del padre, quando è adulta sotto il controllo del marito e quando è dopo la morte del marito sotto il controllo dei figli. “Essa non deve godere dell’indipendenza” e deve “servire costantemente il marito come fosse un dio, anche se questi si comporta male, si abbandona alla concupiscenza ed è privo di qualsiasi buona qualità”3.
Questo, bisognerà convenirne, è meno bello. Ma non saremo noi a scandalizzarci: perché è esattamente il rapporto che mariti e mogli hanno avuto per secoli, e fino a pochi anni fa, nel nostro caro mondo cattolico. Il matrimonio monogamico è stato per lo più questo: una unione tra un uomo e una donna nella quale la donna era la serva dell’uomo - la sua domestica e la sua schiava sessuale. Un prigione dalla quale siamo fuggiti appena i cambiamenti economici e sociali l’hanno consentito. E fa sorridere che questa nota invochi ancora Tommaso d’Aquino per trarre da lui un secondo argomento razionale in favore della monogamia: quello dell’equità, che è possibile solo in una situazione di uguaglianza, mentre la presenza di più mogli crea uno squilibrio che fa sì che le donne siano simili a schiave (85-87). Sappiamo bene che la monogamia non ha impedito la riduzione in schiavitù della donna, e lo dimostrano secoli di letteratura cattolica rivolta alle famiglie.
Ogni relazione di coppia è un campo di sentimenti, emozioni, aspettative, bisogni, pulsioni, desideri, invocazioni, imprecazioni nel quale è possibile cavarsela solo avendo il coraggio di essere sinceri fino alla spietatezza. Difficile dire se sia un fatto naturale o culturale, ma il nostro desiderio non si fissa su una persona. E nemmeno il bisogno di essere riconosciuti, apprezzati, compresi. Non c’è modo migliore per trasformare qualsiasi rapporto di coppia in un inferno che cercarvi la felicità piena o l’unione assoluta. Nelle parole di questa nota, la “comunione intima e totalizzante tra i coniugi” (5; corsivo nel testo). Peggio di questa pretesa totalizzante c’è solo l’idea che essa debba addirittura anticipare “in qualche modo il mistero stesso di Dio” (107). Immagino che in quale modo ciò sia possibile - tra i problemi di lavoro, le ferite del passato, la stanchezza, le delusioni: eccetera - sia un mistero non inferiore al mistero di Dio.