Qualsiasi concezione religiosa o filosofica che esiga il chiostro, il monastero, la cerchia ristretta di amici o la setta filosofica si rivela, con ciò stesso, insufficiente. Dopo aver creato condizioni di vita artificiali, nelle quali ogni fonte di angoscia, sofferenza, frustrazione è allontanata, mantenersi sereni e tranquilli è relativamente facile. Ma è una tranquillità che solo in parte viene dall’interno e che dunque non dimostra il conseguimento di alcunché. Tratto fuori dal suo chiostro, il nostro bhikkhu, il nostro epicureo restano esposti ad ogni vento, travolti da forze che non sono più abituati a fronteggiare. Né si può dire che lo stoico sia migliore se, come insegna Seneca (Ep. 14, 7), si sforza di non provocare numquam potentium iras, praticando la filosofia con moderazione: una libertà da vigliacchi, muti davanti ai potenti e ciechi di fronte al male.
La miseria del chiostro
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